La Food and Agricuture Organization, meglio conosciuta con l’acronimo “FAO”, è l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Essa stima che nel mondo si sprechi circa un terzo dell’intera produzione alimentare destinata al consumo umano;
in Europa lo spreco ammonta in media a 180 kg di cibo pro-capite l’anno.
Perdite e sprechi avvengono durante tutte le fasi che vanno dalla produzione primaria al consumo finale: allevamenti e coltivazioni possono essere soggetti a malattie, infestazioni o intemperie; difetti nel sistema di trasporto possono provocare deterioramenti e perdite; la trasformazione produce ulteriori scarti; nella fase di distribuzione, infine, parte del cibo resta invenduto.
La catena non si esaurisce qui: si calcola infatti che oltre il 40% dello spreco avvenga a livello di consumo finale, sia nella ristorazione che nelle nostre cucine, a causa di porzioni eccessive o di mancato utilizzo dei prodotti alimentari prima della loro data di scadenza.
Ma qual è la situazione nel nostro Paese?
La crisi economica degli ultimi anni e l’entrata in vigore, nel settembre 2016, di una specifica legge per la limitazione degli sprechi alimentari, hanno indotto gli Italiani a gestire meglio i propri consumi, riducendo gli acquisti, riutilizzando gli avanzi e prestando più attenzione alle scadenze.
Secondo un’indagine condotta dall’istituto di ricerca Ixè di Trieste, pubblicata nel dicembre 2016, il 64% degli italiani intervistati ha dichiarato di aver diminuito (31%) o addirittura annullato (33%) lo spreco di cibo a casa propria. Più brave risulterebbero le donne, il 39% delle quali ha dichiarato di aver raggiunto l’obiettivo “zero avanzi”, contro il 26% degli uomini.
Sebbene questi dati siano senza dubbio incoraggianti, il margine di miglioramento è però ancora molto ampio. I test Diari di Famiglia eseguiti dal Ministero dell’Ambiente con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna e con SWG, nell’ambito del pro-getto Reduce 2017, ci dicono infatti che in Italia lo spreco totale di cibo (in tutte le fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo finale) vale 15,5 miliardi di euro, pari allo 0,94% del PIL (dati presentati nell’ottobre 2017 in occasione dell’avvio della campagna Spreco zero 2017/2018).
Come evitare gli sprechi?
Come si è visto, una significativa percentuale degli sprechi alimentari avviene a livello di consumo domestico. Ne con-segue che l’adozione di pratiche “virtuose” da parte di tutti noi cittadini-consumatori può avere importanti ricadute positive sull’intero fenomeno.
A tal proposito la principale raccomandazione è quella di affrontare la propria spesa alimentare in modo più consapevole e responsabile, preferendo prodotti locali e di stagione; in questo modo infatti si accorcia la filiera, limitando il rischio di spreco nelle fasi intermedie di trasformazione e di distribuzione.
Bisogna poi evitare di esagerare con le quantità, e a questo scopo è opportuno preparare sempre una lista della spesa e rispettarla, in modo di acquistare soltanto quanto è realmente necessario.
Importantissima anche la lettura delle etichette, special-mente per quanto riguarda le modalità di conservazione, di preparazione e la data di scadenza.
Una volta terminati gli acquisti, infine, tutte le fasi di manipolazione domestica degli alimenti – mondatura, lavaggio, cottura, conservazione, ecc. – se effettuate con la dovuta perizia possono contribuire a prolungare la durabilità dei prodotti e quindi a contenere gli sprechi.
Una buona gestione della propria dispensa dal punto di vista igienico, inoltre, riduce notevolmente il rischio di tossinfezioni alimentari, proteggendo la salute dell’intera famiglia.
Ma vediamo ora più nel dettaglio quali accorgimenti ci possono aiutare nell’acquisto e nella successiva manipola-zione degli alimenti.
Scegliere cosa acquistare
La prima e più semplice regola da osservare è quella di acquistare solo ciò di cui si ha realmente bisogno – possibilmente aiutandosi con una lista della spesa compilata in precedenza – e nelle giuste quantità. Sebbene spesso l’acquisto di confezioni più grandi garantisca un certo risparmio poiché il prezzo per unità di peso è più basso, bi-sogna tener presente che l’eventuale mancato consumo di parte del prodotto inficerà tale risparmio e provocherà un incremento dello spreco.
Prediligere i prodotti locali e di stagione, invece, accorciando la filiera contribuisce a ridurre le perdite che inevitabilmente si accompagnano alle operazioni di trasporto, stoccaggio e distribuzione.
Nell’acquisto di prodotti freschi sfusi (pesce, carne, ortaggi, frutta, pane, ecc.), per assicurarsi una buona durabilità degli stessi la prima cosa da controllare sono la pulizia e l’ordine del punto vendita e del personale addetto. Particolare attenzione deve essere posta nell’acquisto del pesce fresco, che deve essere presentato in un bancone refrigerato, possibilmente coricato su un letto di ghiaccio, e protetto dagli insetti. Quello più fresco emana odore di mare, i suoi tessuti sono sodi, l’occhio è brillante e un po’ sporgente, il colore delle branchie varia dal rosa al rosso. È bene rinunciare all’acquisto quando l’occhio comincia a diventare opaco, il colore delle branchie vira verso il marrone e i tessuti perdono consistenza.
Nell’acquisto dei prodotti preconfezionati è bene leggere sempre attentamente le etichette, prestando attenzione soprattutto alla data di scadenza e alle eventuali raccomandazioni per la corretta conservazione.
Non acquistare confezioni che non risultino integre, che siano deformate, schiacciate o bagnate. Sincerarsi sempre che i prodotti più deperibili – quali latte fresco, yogurt, budini, ecc. – siano presentati in vendita in banchi refrigerati a temperature non superiori ai +4°C.
Nel caso dei surgelati è ancora più importante verificare l’integrità della confezione, e rinunciare all’acquisto qualora essa presenti i segni di un precedente scongelamento, anche se parziale. I surgelati devono essere presentati in appositi espositori che garantiscano il rispetto della “catena del freddo”, muniti di termometri a vista accessibili al consumatore, e la loro temperatura deve essere mantenuta al di sotto dei -18°C. Se l’espositore è di quelli del tipo a vasca, bisogna anche sincerarsi che i prodotti al suo interno non oltrepassino la linea di massimo carico, al di sopra della quale il mantenimento della catena del freddo non è più garantito. Dopo l’acquisto, i surgelati devono essere trasportati in un contenitore termico. È bene acquistarli per ultimi, riducendo così al minimo il tempo che intercorre tra il prelievo dal punto vendita e il momento in cui saranno riposti nel freezer di casa.
L’igiene in cucina
Sebbene sia opinione diffusa che tutte le minacce alla sicurezza degli alimenti che portiamo sulla nostra tavola siano riconducibili al mancato rispetto della corretta prassi igienica nelle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e vendita degli stessi, in realtà i rischi più frequenti derivano dalla contaminazione di cui siamo responsabili proprio noi consumatori.
L’ambiente che ci circonda, il nostro corpo, gli eventuali animali domestici e gli stessi alimenti pullulano di microrganismi che – quando la preparazione e la conservazione non ne tengono conto – possono proliferare deteriorando i prodotti e rendendoli inadatti al consumo o, peggio ancora, procurando intossicazioni o infezioni a chi se ne ciba. Spesso infatti le contaminazioni batteriche non alterano il sapore, l’odore, la consistenza o il colore dei cibi, e ci si accorge del loro deterioramento soltanto al comparire dei primi sintomi di tossinfezione.
Il lavaggio
Igiene e pulizia sono i requisiti principali nella manipolazione degli alimenti. Bisogna sempre lavarsi con cura le mani prima di toccare gli alimenti, specialmente se si tratta di cibi già cotti o da consumarsi crudi, e ugualmente dovranno essere lavati utensili, recipienti, superfici e quant’altro dovrà venire a contatto con essi.
Eventuali ferite, infezioni o lesioni della pelle presenti sulle mani dovranno essere coperte con guanti di gomma.
Le operazioni di lavaggio delle mani, degli utensili, dei recipienti e delle superfici di lavoro vanno ripetute ogni volta che si passa dalla lavorazione di un alimento a quella di un altro, specialmente se si passa da un cibo crudo a uno già cotto.
Trascurando questa precauzione, infatti, i contaminanti biologici presenti sugli alimenti crudi verrebbero trasferiti su quelli cotti, e, non necessitando questi ultimi di un’ulteriore cottura, si troverebbero nelle condizioni ottimali per proliferare e produrre le loro tossine fino al momento del consumo.
Frutta, ortaggi e verdure devono essere sempre lavate accuratamente, anche se confezionate in busta e già lavate; se un ortaggio o un frutto si presentano anche solo parzialmente ammuffiti devono essere scartati completamente.
Eliminare solo la parte guasta non è sufficiente, perché le tossine prodotte dalla muffa potrebbero essere già penetrate molto più in profondità.
Vanno sempre eliminati anche i germogli e le parti verdi delle patate, perché contengono solanina, un alcaloide tossico.
La cottura
Quello della cottura è il momento in cui si “bonifica” l’alimento dai contaminanti biologici che potrebbero comprometterne la durabilità e l’idoneità al consumo, essendo potenzialmente patogeni, ma è anche il momento in cui alcuni nutrienti, come le vitamine, vengono in gran parte distrutti. Come comportarsi allora?
Innanzitutto è bene sapere che i cibi a maggior rischio di contaminazione sono quelli di origine animale – quali carne, pesce e uova – e che quindi è sempre preferibile consumarli ben cotti. Ortaggi e verdure, che sono ricchi di vitamine e minerali, devono essere invece consumati crudi o cotti con metodi che ne lascino il più possibile intatte le proprietà nutritive; a questo scopo la tecnica migliore è la cottura a vapore.
Passiamo dunque all’esame dei pro e dei contro di alcune tecniche di cottura quali la cottura in pentola a pressione, la lessatura, la cottura a vapore, cottura in forno tradizionale, la cottura in forno a microonde, la cottura alla griglia o alla piastra e la frittura.
1. Cottura in pentola a pressione. Si raggiungono temperature intorno ai 120°C, che garantiscono la distruzione di tutti i batteri. Possono tuttavia superare indenni la cottura alcune loro spore e tossine. Nel caso di pietanze a base di carne, pesce o uova l’ebollizione deve durare almeno 10 minuti. Verdure e ortaggi perdono parte delle vitamine a causa dell’alta temperatura e del discioglimento nel liquido di cottura; anche i sali minerali vengono ceduti in parte al brodo. È pertanto consigliabile ridurre i tempi di cottura di questo tipo di alimenti, e consumare comunque anche il brodo. I grassi da condimento (olio, burro) devono essere aggiunti successivamente, a crudo.
2. Lessatura. Si raggiungono temperature intorno ai 100°C. Vale quanto detto per la cottura in pentola a pressione, con un prolungamento da 10 a 15 minuti dei tempi di cottura di carne, pesce e uova.
3. Cottura a vapore. Le temperature sono inferiori ai 100°C, ancora sufficienti a garantire la distruzione dei batteri, ma non di tutte le spore e tossine. È il miglior metodo di cottura per verdure e ortaggi, provocando una minor perdita di vitamine e minerali. Nel caso di carne, pesce e uova la durata dell’esposizione al vapore varia a seconda delle dimensioni, ma deve sempre essere tale da garantire la completa cottura fino al “cuore” del prodotto.
4. Cottura in forno (tradizionale). Le temperature sono molto elevate (180-220°C), e provocano la completa distruzione di batteri, spore e tossine, purché il tempo di cottura sia sufficientemente lungo da garantire la completa cottura fino al cuore del prodotto. Queste caratteristiche ne fanno una tecnica particolarmente adatta alla preparazione di carni e pesci, mentre per verdure e ortaggi si accentua la perdita di vitamine dovuta al calore. L’eventuale aggiunta di grassi da condimento – spesso non necessaria con questo tipo di cottura – deve essere rinviata a fine cottura, a crudo.
5. Cottura in forno a microonde. All’interno di un forno a microonde si genera un campo elettromagnetico variabile la cui oscillazione agisce, scaldandole, sulle molecole che possiedono polarizzazione (principalmente acqua, ma anche lipidi, proteine e zuccheri). Questo rende difficile determinare le temperature raggiunte e, di conseguenza, i tempi di cottura, in quanto esiste una grande variabilità legata alla composizione degli alimenti. Nel caso di cibi molto ricchi di acqua o di altre molecole polari, poi, l’interno si scalderà più velocemente rispetto allo strato esterno più secco: esattamente il contrario di quanto avviene in un forno tradizionale, in cui il calore passa per irraggiamento e conduzione dagli strati più esterni a quelli interni. Il maggior vantaggio del forno a microonde – e anche il suo principale limite – consiste nella grande rapidità: il calore si genera direttamente sulla pietanza in cottura, e non è necessario scaldare le pareti del forno, l’aria e il contenitore. Questo permette di scongelare e cuocere molto velocemente, ma – specialmente quando si scalda una pietanza già cucinata – il riscaldamento è troppo breve per garantire quella bonifica dagli eventuali contaminanti microbici che invece è sempre consigliabile. Gli apparecchi di fabbricazione più recente abbinano al microonde un sistema a raggi infrarossi, il “grill”, che rende possibile dorare le superfici dei cibi, arricchendoli di sapore. Di concezione ancora più recente la funzione “crisp”, in cui parte dell’energia emessa viene assorbita da una speciale teglia estraibile in alluminio antiaderente che contiene la pietanza, distribuendo così il calore in modo uniforme. Alcuni forni di fascia alta, infine, dispongono anche di una vaporiera, che permette di cuocere i cibi combinando microonde e vapore.
6. Cottura alla griglia o alla piastra. L’alimento viene esposto a temperature superiori ai 200°C, con l’effetto di una rapida sterilizzazione in superficie che distrugge batteri, spore e tossine. Anche in questo caso è bene prolungare la cottura in modo che la bonifica si estenda fino alle parti più interne dell’alimento. Questa tecnica di cottura, adatta a carni e pesci, permette di evitare l’uso di grassi da condimento. Le parti superficiali eventualmente carbonizzate devono essere eliminate, perché contengono agenti cancerogeni.
7. Frittura. Le temperature superano i 180°C e provocano la distruzione di batteri, spore e tossine; provocano però anche la degradazione dell’olio, che sviluppa sostanze cancerogene. Per questo motivo non si deve mai riutilizzare l’olio di frittura. Gli oli più resistenti alle alte temperature, e che quindi rilasciano meno sostanze nocive durante la frittura, sono l’olio di semi di arachidi e l’extravergine di oliva. È infine bene ricordare che i cibi fritti assorbono molto olio, e risultano quindi ricchi di grassi; si consiglia pertanto di limitarne il più possibile il consumo.
Dopo la cottura
Una volta bonificato dai batteri con la cottura, il cibo dovrebbe essere consumato nel più breve tempo possibile. Tornato a temperatura ambiente, infatti, è subito soggetto a nuove contaminazioni da parte di microrganismi, che si moltiplicano anche più facilmente e più in fretta che nei cibi crudi.
Se è proprio necessario conservare i cibi cotti, è bene farlo mettendoli subito in contenitori puliti, chiusi e, soprattutto, già suddivisi in porzioni. I contenitori andranno poi riposti in frigorifero ancora tiepidi, in modo che la loro temperatura si abbassi nel più breve tempo possibile.
La suddivisione in porzioni, che va fatta anche nel caso di cibi da conservare nel freezer, è importante perché permette poi di scaldare o di scongelare di volta in volta soltanto la quantità che verrà effettivamente consumata; è sempre sconsigliabile, infatti, scaldare più volte la stessa pietanza.
In ogni caso, quando si scalda o si scongela del cibo precedentemente cucinato, è bene portarlo a temperature tali da garantire una nuova bonifica dagli agenti biologici che possono averlo contaminato durante la conservazione.
La conservazione
Conservare a temperatura ambiente
Tra i principali fattori che favoriscono la proliferazione degli agenti patogeni ricordiamo il tempo, le temperature comprese fra i 10 e i 60°C e l’umidità.
Quando un alimento, per sua natura, ha un basso contenuto d’acqua, sarà allora possibile conservarlo per un certo tempo a temperatura ambiente, con i dovuti accorgimenti.
Prodotti come pasta, riso, legumi secchi, farine, caffè, ecc., possono dunque essere conservati in dispensa, purché siano nelle loro confezioni originali (o in contenitori chiusi) e in un ambiente pulito, ben areato e asciutto.
Sono conservabili in dispensa anche gli oli, purché protetti dall’ossigeno (bottiglie a collo stretto e ben tappate) e tenuti lontani da fonti di luce e di calore.
Per lo scatolame è necessario tenere sotto controllo la data di scadenza, o il Tmc, e le raccomandazioni per la conservazione eventualmente presenti in etichetta.
Scatole e barattoli dovranno essere ben puliti prima dell’apertura, per evitare la possibile contaminazione del loro contenuto; le scatole metalliche una volta aperte dovranno essere completamente svuotate, perché il contatto tra metallo e aria potrebbe favorire il rilascio di sostanze indesiderabili.
Nel caso in cui il prodotto non venisse consumato tutto, gli avanzi dovranno essere pertanto trasferiti in un contenitore per alimenti, tappati con un coperchio e riposti in frigorifero.
Conservare in frigorifero
Il frigorifero è il luogo ideale per la conservazione a breve termine dei prodotti deperibili, sia cotti che crudi. Proprio per questo, però, è importante usare alcune attenzioni per prevenire il rischio di contaminazioni crociate: il passaggio di contaminanti da alimenti crudi ad alimenti cotti – che quindi potrebbero venir consumati senza essere di nuovo sottoposti agli effetti igienizzanti della cottura – è infatti particolarmente insidioso. Riportiamo di seguito alcuni suggerimenti per il corretto uso del frigorifero.
• Tenere il frigorifero sempre pulito e sbrinarlo periodicamente.
• Non riempirlo eccessivamente, e disporre i cibi in modo che non siano a contatto con le pareti. Questi accorgimenti favoriscono la circolazione dell’aria e l’omogeneità delle temperature.
• Impostare il termostato sui 4°C.
• Rispettare la data di scadenza indicata nell’etichetta dei prodotti, tenendo però presente che essa si riferisce alle confezioni integre; dopo l’apertura consumare il prodotto in pochi giorni, e comunque nel più breve tempo possibile.
• Prima di riporre gli alimenti in frigorifero – specialmente quelli cotti – chiuderli in contenitori separati.
• Disporre più in basso (temperatura più alta), nell’apposito cassetto, frutta, ortaggi e verdura.
• Disporre negli scomparti centrali, protetti da involucri o contenitori, i formaggi, le carni, il pesce.
• Disporre negli scomparti più alti (temperature più basse) i prodotti più deperibili, quali latte, yogurt, creme e cibi già cucinati (ovviamente protetti in contenitori chiusi).
• Lasciare le uova nella confezione d’acquisto e riporle negli scomparti centrali; lavarle accuratamente prima dell’uso.
Conservare nel congelatore
Si definiscono congelatori (o freezer) quegli elettrodomestici adatti al congelamento dei cibi freschi e alla conservazione dei surgelati a temperature inferiori ai -18°C.
Questi apparecchi consentono la conservazione degli ali-menti per periodi piuttosto lunghi, purché la temperatura sia mantenuta costante.
Surgelati e congelati
Il congelamento e il surgelamento consistono nel portare gli alimenti al di sotto degli 0°C.
A queste temperature la maggior parte dell’acqua contenuta nei tessuti animali o vegetali si trasforma in ghiaccio, divenendo così inutilizzabile per i contaminanti biologici che di conseguenza vengono messi in stasi.
Il surgelamento è un processo industriale molto rapido che impiega temperature intorno ai -50°C. L’acqua, gelando molto in fretta, non ha il tempo di organizzarsi in cristalli grandi, e l’integrità delle cellule dell’alimento surgelato viene preservata; questo fa sì che si conservino meglio anche le sue proprietà nutritive.
Il congelamento invece impiega temperature meno basse, raggiungibili anche dai congelatori domestici, ed è quindi un processo più lento. L’acqua gela in tempi più lunghi, organizzandosi in cristalli più grandi che sfondano membrane e pareti cellulari provocando, nella successiva fase di scongelamento, la fuoriuscita di sostanze nutritive.
Per i tempi di conservazione dei surgelati è bene far riferimento alla data di scadenza, tenendo ovviamente presente che essa si riferisce alle confezioni integre che non abbiano subito scongelamento, neanche parziale. Una volta sconge-lati, i prodotti surgelati devono essere consumati in tempi brevi, e non possono essere ricongelati. Se il prodotto non viene utilizzato completamente, è possibile congelarlo di nuovo solo dopo averlo cotto; in questo caso tecnica e tempi di cottura devono garantire la completa bonifica dell’alimento dalle eventuali contaminazioni microbiche.
Quando si decide di congelare degli alimenti in casa, sia cotti che crudi, è opportuno suddividerli in piccole confezioni: il congelamento sarà più rapido, e inoltre sarà possibile scongelare di volta in volta soltanto il quantitativo realmente necessario. Riponendoli nel congelatore, inoltre, è consigliabile fare in modo che non tocchino altri prodotti già congelati, che potrebbero scongelarsi in corrispondenza delle superfici di contatto.
Come scongelare
Il modo migliore per scongelare un prodotto congelato o surgelato è quello di metterlo direttamente a cuocere (o nel forno a microonde) subito dopo averlo tolto dal freezer. Così facendo, infatti, si evita la perdita di nutrienti, che rimangono nel liquido di cottura.
Quando ciò non è possibile – ad esempio nei casi in cui l’incarto aderisca troppo tenacemente al prodotto – si può lasciare l’alimento a scongelare per qualche ora in frigorifero, avendo poi però l’accortezza di includere il liquido di scongelamento nella preparazione della pietanza, per limi-tare la perdita di nutrienti.
Non è mai consigliabile scongelare a temperatura ambiente (specialmente se si tratta di alimenti di origine animale), situazione in cui si favorirebbe la proliferazione microbica.
Lo scongelamento mediante immersione in acqua (fredda) è consigliabile soltanto se il prodotto è racchiuso in una confezione impermeabile, che impedisca il dilavamento dei nutrienti.
Il decalogo per ridurre gli sprechi
- Fare la lista della spesa e comprare solo quanto realmente necessario;
- Preferire i prodotti locali e di stagione;
- Leggere sempre la data di scadenza o il Tmc e le eventuali istruzioni circa le modalità di conservazione;
- Lavare bene le mani, gli utensili e le superfici di lavoro prima di manipolare gli alimenti; ripetere l’operazione quando si passa da un alimento a un altro;
- Cucinare le giuste quantità di cibo ed evitare di servire porzioni eccessive;
- Non lasciare raffreddare a temperatura ambiente un alimento cotto, ma metterlo in un contenitore chiuso e riporlo in frigorifero quando è ancora tiepido;
- Evitare il contatto tra alimenti diversi nel frigorifero, soprattutto tra crudi e cotti;
- Non riempire eccessivamente il frigorifero e disporre i cibi in modo che non ne tocchino le pareti; tenerlo sempre pulito e sbrinarlo periodicamente;
- Quando una confezione è stata aperta la data di scadenza riportata in etichetta non ha più valore: il prodotto va consumato nel più breve tempo possibile;
- Congelare gli alimenti suddividendoli in porzioni.