La corsa folle dei malati all’interferone.
E’ cosa che sui gruppi facebook dedicati e, in generale, sui social network, è ormai abbastanza nota: il farmaco INTRON A, ovvero l’interferone, è diventato introvabile e a tutti coloro che con esso curano malattie gravissime come Epatite B e C, sclerosi multipla, diverse forme tumorali come il melanoma e la malattia di Behcet. Una pena accessoria che, come una spada di Damocle, si riversa sui malati che già, quotidianamente, devono combattere la battaglia per la sopravvivenza o per una vita “normale”.
Sul sito dell’AIFA il farmaco e le sue differenti posologie risultano essere scarsamente reperibili a causa della cessata commercializzazione permanente o per una generica problematica produttiva, per cui l’Agenzia autorizza all’importazione dall’estero le strutture sanitarie che ne fanno domanda.
Già, le strutture sanitarie, quelle che dovrebbero di norma dispensare i farmaci che loro stesse prescrivono. I tempi, in questi come in altri casi in cui i più deboli sono coinvolti, sono biblici ed il risultato di questa inerzia fa sì che il principio della certezza delle cure venga meno, con un esercito di pazienti disperati che si confronta sui social per chiedere ragguagli sulla disponibilità del farmaco. Alcuni si recano in Vaticano, dove una scatola di INTRON A costa centinaia di euro (non rimborsati dal SSN, poiché siamo all’estero) e che può arrivare in territorio papale nel giro di una decina di giorni; altri vanno in Svizzera, dove i costi sono più ridotti, altri ancora devono necessariamente sospendere la terapia, fare giri interminabili per tutte le farmacie possibili alla folle ricerca di una dose, oppure recandosi in ospedale dove sono in cura per sentirsi rispondere che l’interferone non è disponibile neanche per loro, quando invece sarebbero tenute a farne domanda.
“Una situazione inaccettabile che non può procrastinarsi oltre, – tuona Fabrizio Premuti, presidente Konsumer Italia-, abbiamo ricevuto segnalazioni di pazienti che hanno dovuto interrompere la terapia, preoccupati del fatto che farmaci simili, se non dispensati nei tempi e nei modi designati dal piano terapeutico, possono rendere vano tutto il percorso di guarigione. Oltre alla tragedia umana, pertanto, anche un’ipotesi di danno erariale: che senso ha prescrivere un farmaco costosissimo per uno, due o più anni, se poi non ne viene più garantito l’approvvigionamento?”.