IL FALLIMENTO DI IDB NON PRECLUDE IL RECEUPERO DELLE SOMME INVESTITE PER L’ACQUISTO DEI DIAMANTI
Dell’Avv. Giovanni Franchi
Come noto, Intermarket Diamond Business è stata dichiarata fallita.
Si tratta di una delle società che, d’accordo con diverse banche, vendeva diamanti, quale forma d’investimento.
Si diceva al cliente: “acquistare azioni o obbligazioni è pericoloso, in quanto le società emittenti possono fallire, come è accaduto a Cirio, Parmalat, Giacomelli e altre. Molto più sicuro l’acquisto di diamanti, pietre che hanno un valore e ce l’avranno sempre”.
Peccato che quelle pietre siano stato vendute a prezzi esorbitanti a scapito dei risparmiatori!
Deve, allora, ricordarsi che il Tar del Lazio ha confermato le multe inflitte dall’Antitrust lo scorso anno per pratiche commerciali scorrette a Unicredit, Banco Bpm, Mps e ai due principali operatori nella vendita di diamanti attraverso gli sportelli bancari. Le cinque sentenze (numero 10965, 10966, 10967, 10968 e 10969) pubblicate il 14 novembre 2018 hanno giudicato “infondati” i ricorsi presentati sui procedimenti per pratiche commerciali scorrette.
I giudici amministrativi sono entrati nel merito di tutte le questioni esaminate dall’AGCM nei provvedimenti PS10677 e PS10678 contestate dai ricorrenti, osservando come non sia controversa la circostanza che i prezzi di vendita dei diamanti di investimento venissero fissati da IDB in maniera autonoma e che gli stessi, comprensivi del valore della pietra, dei servizi aggiuntivi e del margine di guadagno del professionista, non fornissero indicazione in ordine all’incidenza delle singole voci di costo.
Soprattutto le società IDB e DPI avevano cercato anche di addossare responsabilità alla trasmissione Report di Rai 3, che avrebbe provocato una corsa alle vendite. La sentenza 10968 si sofferma a osservare come “la trasmissione Report che, avendo portato all’attenzione dei consumatori alcuni profili di criticità dell’offerta di IDB, ha piuttosto creato un’occasione per verificare in concreto come il pubblicizzato andamento crescente dei valori fosse stato, a sua volta, rappresentato in maniera omissiva e ingannevole, in quanto legato alla permanenza di condizioni (quali la rivendita attraverso i canali IDB e lo scarso indice di disinvestimento), la ricorrenza delle quali era meramente eventuale e non resa nota al consumatore.”
Ricorda il giudice che il Codice del consumo, all’art. 2, comma 2, lett. c), prevede il diritto dei consumatori ad essere correttamente informati, stabilendo espressamente che essi hanno diritto ad “un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità” ed ancora, alla lettera e), “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali”.
Inoltre, l’art. 5, comma 3, prevede che “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Insomma non vi è alcun dubbio che IDB, con la complicità della banca, abbia posto in essere un sistema di vendita che ha offuscato le possibilità di giudizio e valutazione dei clienti, convincendo questi ad acquistare diamanti a prezzi esorbitanti rispetto al loro effettivo valore.
Per il TAR siamo, in realtà, di fronte alle pratiche commerciali abusive cui fanno riferimento gli artt. dal 19 al 27 del Codice del Consumo. E le stesse sono comportano solo sanzioni da parte dell’Autorità Garante, ma pure obblighi risarcitori a carico del responsabile sia ex art. 1337 c.c., che ai sensi del successivo art. 2043.
Tali considerazioni rendono evidente l’irrilevanza del fallimento di IDB per chi ha acquisto quelle pietre. Gli acquirenti potranno, infatti, agire per il risarcimento del danno nei confronti dell’istituto di credito.
E ciò sia che abbia già le pietre – nel qual caso avrà diritto alla differenza – sia che non le abbia. Il risparmiatore non deve, per l’effetto, preoccuparsi.