La recente pandemia ha messo a nudo le criticità del sistema sanitario, in particolare della medicina territoriale.
Si ventila l’ipotesi della carenza di fondi, ma questo è vero sia per la medicina territoriale che gli ospedali.
In realtà le gravissime carenze della medicina territoriale sono legate all’incapacità a trattare le malattie che dovrebbero essere gestite al domicilio o nell’ambulatorio medico.
Se non vogliamo identificare la causa con l’inefficienza dei singoli medici, occorre trovare correttivi al sistema di formazione dei medici di medicina generale e organizzazione della medicina territoriale.
Il primo problema da risolvere è lo scollegamento del medico curante dall’ospedale: la compartimentalizzazione del medico (il medico di medicina generale cura il paziente fuori dall’ospedale e il medico ospedaliero lo cura all’interno senza quasi dialogo tra le due figure).
L’attuale formazione del medico di medicina generale prevede un corso di tre anni di frequenza tra ospedale, ambulatori e studi di medicina generale.
Sarebbe enormemente più utile ad un medico in formazione entrare dopo la laurea per alcuni anni (7- 10) a far parte dello staff effettivo ospedaliero (essenzialmente pronto soccorso e reparti medici) ove si potrebbe chiarire il percorso clinico del paziente dal domicilio all’ospedale, condividere i problemi gestionali e, non ultimo, instaurare rapporti con l’ospedale che dovrebbe essere quello di riferimento per i suoi futuri pazienti.
Al termine l’ospedale dovrebbe poter accreditare la convenzione del professionista. Ottima sarebbe la previsione di retraining periodici. In questo modo si creano contatti e relazioni tra i due sistemi territoriale e ospedaliero, formazione continua, possibilità di passaggio dei professionisti tra un sistema e l’altro.
Dott.ssa Angelomaria Santoro