La pandemia da COVID-19 ha imposto l’uso di sistemi di protezioni, se vogliamo, anche semplici, per le persone non particolarmente esposte. Le note mascherine chirurgiche, da sempre utilizzate proprio dai chirurghi durante gli atti operatori per salvaguardare i pazienti da possibili contaminazioni a partenza dagli stessi chirurghi, erano relegate alla vendita da parte dei negozi di sanitaria e da ditte specifiche che rifornivano ospedali, cliniche e strutture dove questo strumento risultava necessario.
I costi di questi “semplici elementi protettivi” è sempre stato basso e variabile tra 0,08 e al massimo 0,20 centesimi a pezzo, legato naturalmente al quantitativo acquistato e se al dettaglio o all’ingrosso; il numero di questi presidi, in scala nazionale, non era bassissimo e direttamente legato alle necessità lavorative specifiche. L’arrivo della pandemia da COVID-19 ha rimodellato questo mercato in modo significativo, portando quasi ad una “borsa nera” il commercio di questi semplici e necessari presidi di difesa sanitaria.
L’innalzamento ingiustificato dei prezzi ha comportato un aumento spropositato per la vestizione di un chirurgo da circa 15 a 80 euro per l’acquisto di materiale monouso come cappellino, mascherina, camice e calzari!
Passati i primi giorni dove risultavano introvabili, ora in tanti, forse anche in troppi, hanno iniziato a commercializzare le mascherine a prezzi decisamente ben oltre il loro effettivo valore. E’ vero che la stragrande maggioranza degli approvvigionamenti di detti presidi si basava su produzioni cinesi, notoriamente a basso costo, e che nel momento in cui la Cina si è trovata in piena pandemia, ha contingentato le proprie produzioni per metterle a disposizione della propria nazione, ma è altrettanto vero che si tratta di un elemento di facile e semplice assemblaggio i cui costi produttivi, in un momento in cui la produttività risulta necessaria su numeri molto elevati, risulta poco giustificabile l’incremento dei costi al dettaglio, il cui uso giornaliero non sarà più relegato ai chirurghi, ma a tutta la popolazione italiana con quotidiana necessità di sostituzione. L’elemento protettivo infatti, andrà utilizzato, seguendo precise norme sia per indossarlo che per smaltirlo, anche quest’ultimo dovrà rappresentare un serio problema da affrontare per evitare eventuali contaminazioni.
Naturalmente, oltre alle normali “mascherine chirurgiche”, ci sono poi i modelli denominati FFP2 e FFP3 muniti di particolari filtri, e questi modelli sono relegati ad un uso specificamente professionale, l’acquisto e la distribuzione di tutti questi presidi dovrebbe essere relegato allo stato che, in rispetto dell’art. 32 della nostra costituzione, dovrebbe farsi carico della salute dei propri cittadini, la maggior parte dei quali in questo momento non è in grado di sostenere economicamente le spese per l’acquisto dei sistemi di protezione passati da pochi centesimi a svariati euro.
Dott. Arturo di Folco
Responsabile nazionale sanità Konsumer Italia